C’è più basket nel jazz
che ai corsi allenatori Fip

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Cosa vuol dire rhythm & basket? Per me vuol dire che sulla pallacanestro, su quali esercizi utilizzare in allenamento, su come costruire una partita da vincere contro un avversario più forte o da non perdere contro uno più debole, su come e perché far capire ai propri giocatori che i movimenti collettivi sono più importanti di quelli individuali, su tutto questo e molto altro mi ha insegnato di più il confronto, l’ascolto delle idee sulla costruzione del suono di grandi musicisti jazz quali Thelonious Monk, Albert Ayler, Charlie Mingus, John Coltrane e altri che non i quasi tutti inutili corsi di perfezionamento tecnico a cui ho dovuto partecipare come allenatore Fip.

La precisa consapevolezza che lo sviluppo della pallacanestro sta tutto nell’approfondimento del lavoro su cosa vuol dire giocare in transizione non me la hanno certo trasmessa Dan Peterson o i santoni di casa nostra, tutti impegnati a non andare mai al di fuori del manuale dell’allenatore modello, ma piuttosto l’impatto di un capolavoro del jazz come “Let Freedom Ring” di Jackie McLean, il cui titolo è un manifesto eloquente di quale sia l’idea più importante che dovrebbe circolare su un campo di basket. Per chi volesse capire almeno in parte cosa vuol dire giocare in transizione, basta dare un’occhiata attenta all’attacco “fluido” della Spagna di Luis Enrique, il miglior allenatore oggi in circolazione (non solo di calcio).

Per strappare un sorriso a un amico di recente data quale Germano Foglieni confesso umilmente, ma orgogliosamente di avere imparato di più sulla pallacanestro anche dalla scuola di Francoforte (da Adorno e Horkheimer su tutti e da un libro fondamentale per ogni allenatore “Dialettica dell’Illuminismo”) che non dalla scuola tecnica italiana, scuola che fra le altre cose non è mai esistita, soprattutto a Udine. Unica eccezione a proposito di scuola è stata l’allora emergente e innovativa scuola tecnica slava rappresentata in questa regione dallo Jadran di Trieste, esperienza alla quale va reso autenticamente onore perché il suo “penetra e scarica” lo abbiamo davvero imparato (e copiato) tutti.

C’è ancora qualcosa di più che accomuna basket e jazz ed è la definizione di che cosa sia il jazz fatta dal leggendario regista russo S. M. Ejzenstejn il quale ne colse l’essenza definendolo “tempo preso in prestito”. La stessa definizione vale per il basket il quale, come il jazz, è sempre una categoria da riempire, mai autosufficiente, bensì obbligato a confrontarsi con tutto quello che può garantirne uno sviluppo. Significa ad esempio attivare anche nel basket così come nel jazz le tesi di Walter Benjamin, il filosofo chiave di tutto il ‘900, sul concetto di storia e/o di ricerca storica: “…è più difficile onorare la memoria dei senza nome che non quella degli uomini famosi, ma alla memoria dei senza nome è consacrata la costruzione storica”.

Questo vale per il jazz (vedi il caso di Joe Harriott) tanto quanto per il basket dove molto spesso nelle categorie “minori” si trovano idee e qualcosa di meglio rispetto ai campionati e a squadre di categoria superiore: sono decine e decine i nomi di giocatori, allenatori, dirigenti che andrebbero tolti dall’oblio a cui sono stati destinati.

Consiglio quindi a tutti, per iniziare ad afferrare il rapporto esistente fra il basket e il jazz, di ascoltare il primo omonimo album di una grande formazione jazzistica (che suona come dovrebbe muoversi una grande squadra tra assoli e movimenti collettivi) quale la Liberation Music Orchestra di Charlie Haden, Don Cherry, Roswell Rudd, Paul Motian e altri. In particolare consiglio di ascoltare il frammento “We shall overcome”.

Per stabilire per prima cosa che al fondo del jazz quanto del basket vi è la stessa esigenza di libertà, di liberazione anzi da ogni pregiudizio, da ogni stereotipo che limiti le potenzialità contenute in tutti coloro che si avvicinano al basket o alla musica jazz perché, come scriveva Shakespeare e cita Al Pacino in un film su un campetto di basket, “siamo fatti tutti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni”.

Poi consiglio di leggere tutto di un fiato gli scritti sul jazz, gli articoli su giornali e riviste di quel genio a nome Boris Vian, intellettuale e jazzista francese degli anni ’40 e ’50. Fra le molte annotazioni, polemiche geniali con i suoi contemporanei e intuizioni profetiche, da non perdere è l’immortale romanzo noir “Sputerò sulle vostre tombe”, intriso di una tensione narrativa tutta jazzistica o da “overtime” con il coltello fra i denti.

Dare anche un’attenta occhiata al film culto “Ascensore per il patibolo” di Louis Malle con la straordinaria colonna sonora di Miles Davis, che la leggenda vuole essere stata registrata interamente nel corso di una sola notte in studio d’incisione: un po’ come i leggendari allenamenti notturni di Lajos Toth sul 5-3-5.

Riflettere su Spike Lee e le fotografie delle celebrità sui muri della pizzeria gestita da bianchi nel ghetto nero dove si svolge il film “Fa’ la cosa giusta”. Radio Rahim e gli altri ragazzi neri che frequentano la pizzeria vorrebbero le foto di Michael Jordan e gli altri eroi neri sul muro mentre i proprietari bianchi si limitano ad esporre sui muri le fotografie di Enrico Caruso, Frank Sinatra o Joe Di Maggio e altri personaggi famosi italoamericani. Nel film questo contrasto provoca un dissidio irreparabile fra bianchi e neri che porterà alla distruzione del locale.

Personalmente credo che questa metafora rappresenti meglio di qualsiasi altro esempio la necessità, sia per chi vuole giocare a basket sia per chi vuole avvicinarsi al jazz, di rifiutare la cultura sociale dominante trasmessa attorno e attraverso due forme di vera e propria cultura di massa come la musica e lo sport.

“Fight the power”, il brano guida del film di Spike Lee, eseguito dai Public Enemy ha un suo ritmo incalzante che dice tutto su come attaccare, difendere, muoversi in transizione su un campo da basket e in nome di che cosa: se vuoi giocare a basket “fight the power”.

(fine prima parte)

A proposito di filmografia questa è quella da me consigliata:

  • Wim Wenders: L’anima di un uomo – Dvd
  • Spike Lee: Fa’ la cosa giusta
  • Kasper Collins: I called him Morgan (su Lee Morgan) – Dvd
  • Kasper Collins: My name is Albert Ayler – Dvd
  • Bert Stern: Jazz on a summer’s day (1958)
  • Robert Herridge: The sound of jazz (1957)
  • Charlotte Zwerin: Straight, no chase: Thelonious Monk
  • Robert Palmer: Deep Blues
  • Sweet Blues: A film about Mike Bloomfield
  • Karel Reisz e Tony Richardson: Momma don’t allow
  • Jean Pierre Melville: L’armata delle ombre
  • S. Beccastrini: Il messaggio incompiuto. Masaccio e il cinema
  • Karel Reisz: Sabato sera, domenica mattina
  • Murray Lerner: The other side of the mirror Newport folk festival 1963-1965
  • Pier Paolo Pasolini: Il Vangelo secondo Matteo

Foto copertina “Rhythm ‘n’ Blues” by Tilman Haerdle is licensed under CC BY-NC-ND 2.0

3 comments

  1. Grazie Delvio era tempo che non leggevo un articolo così profondo ed interessante sicuramente non banale da ogni riga si potrebbe prendere spunto per analisi approfondite e confronti dialettici. Strepitosa la bibliografia di film e riferimenti musicali

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